Ad un mese dalla riapertura fisica dei negozi di abbigliamento, dai primi dati negativi del settore tessile che sfiorano il – 70%, negativo anche l’export e il comparto calzaturiero, le aziende che tentano la ripresa rafforzando il comparto on line le fashion week si trasformano in sfilate digitali ma vediamo in quale modalità.
Le grandi crisi economiche hanno da sempre generato un surplus di creatività ed anche in questo caso la strada più ovvia non è detto sia quella più proficua.
La trasformazione digitale del settore Fashion dettata da una esigenza reale, funziona se riesce ad inglobare due fondamentali che inducono l’acquisto: la parte emotiva e suggestiva che scatena un bisogno primario e la chiarezza espositiva e rappresentativa del brand.
Le sfilate virtuali come trasposizione 1:1 sul digitale, non danno segni positivi, stancano e sono prive di alcuni fattori chiave: azzeramento delle distante tra lo spettatore e l’oggetto del desiderio che potrebbe sembrare ancora più irraggiungibile e il fattore emotivo assente di una vera e propria sfilata di moda.
Due le reazioni dell’intero settore che si trova diviso tra l’idea di rivoluzionare i tempi e dimezzare le collezioni abbracciando una moda più etica e sostenibile o trasfomare completamente il sistema moda a partire dalle sfilate non rinunciando ai tempi di produzione e uscite stagionali.
Nel mezzo risultano per ora vincenti coloro che riescono a trasferire in digitale il fattore emotivo grazie ad uno dei mezzi più potenti che abbiamo: il cinema.
Grazie alla direzione artistica superlativa di Maria Grazie Ciuri, Dior, da sempre il brand che incarna il concetto di sogno e desiderio, ha mandato in onda il cortometraggio con la regia di Matteo Garrone che ha riscosso un feedback immediato sui principali social network mondiali.

Un piccolo capolavoro diretto da un gande regista, ben capace di interpretare il mito della maison francese. Ed è così che la classica sfilata di moda si trasforma in una fiaba, in un racconto fitto di simbologia antichissima, ricca di spunti storici come il baule dei vestiti e il teatro della moda, in voga negli anni ’30, la mitologia ellenica e la perfetta simbiosi tra uomo e natura. Pochi capi ma ricchissimi di significato che valorizzano il savoir fair sartoriale.
Dior non è l’unico brand che passa dal racconto meraviglioso sui social del #fattoincasa in piena pandemia al formato digitale versione cinematografico. Grande attesa infatti per Maison Margiela che ha scelto domani di presentare la nuova collezione co-ed Artisanal A/I 2020-21 in 4 episodi, in formato Netflix, proprio come le puntate di una fiction, ed io personalmente non vedo l’ora di vederla!
La lista dei brand si allunga con Azzaro che si è affidato all’energia della cantante belga Sylvie Kreusch, dando vita a un videoclip musicale o Antonio Grimaldi che ha presentato ‘Ælektra’, progetto diretto e interpretato da Asia Argento.
La risposta negativa dei primi dati non è il solo fattore che mi faccia pensare che la direzione da prendere è ben diversa dalla classica sfilata ma esemplare è guardare come si muovono le grandi Maison che hanno fatto la storia della Moda.
Le sfilate in formato digitali, così come le conosciamo, quindi, hanno ancora senso di esistere in questo periodo post pandemico?Nel periodo di distanziamento sociale questa formula rischia di aumentare ancor più il senso di inaccessibilità del prodotto, funziona se utilizzata come presentazione di un progetto a più ampia veduta come Valentino, il quale chiude la prima Paris Fashion Week digitale, sfruttando l’occasione solo per svelare in anteprima l’ispirazione dell’esclusiva live performance che si svolgerà a Roma martedì 21 luglio presso gli Studi di Cinecittà. La collezione Haute Couture A/I 2020-21 sarà presentata attraverso uno show speciale ideato dal direttore creativo Pierpaolo Piccioli in collaborazione con l’artista Nick Knight.

Per concludere, quale sarà la chiave vincente a fronte di questa rivoluzione del comparto moda dettata da una inevitabile inflessione di mercato?
A mio avviso sviluppare le proprie collezioni su due binari: rafforzare il comparto e-commerce (esemplare Dolce & Gabbana che immettono on line per la prima volta le collezioni di alta moda dedicata alle celebrity) e presentare solo piccole collezioni con un alto fattore emotivo avvalorandosi del supporto artistico e/o cinematografico.
Un’altro aspetto che dovrebbe trovare una soluzione a breve termine a livello di mercato è la moda etica e sostenibile. Un bellissimo sogno poco accessibile dati i costi ancora decisamente troppo alti, ma che ben si sposa con il periodo delle piccole produzioni. Innumerevoli i progetti di crowdfunding che vivono grazie ad investitori e che in questo momento potrebbero venire a mancare da un momento all’altro. La produzione di materie tessili alternative prodotte dai vegetali, come la simil pelle ricavata dalle foglie dei cactus per citarne una, sono una delle mille soluzioni attualmente in fase di sviluppo. Eppure questo comparto ha costi ancora troppo elevati per essere sfruttato nel pieno delle sue potenzialità.
In ultimo, un’analisi sul fattore etico di un brand, non meno importante. Dai dati di mercato è emerso come valore aggiunto vincente del quale non bisogna sottovalutare l’importanza e che spinge all’acquisto. Attenzione però, questo non significa puntare ad una campagna incentrata su questo valore, anzi, per essere reale e sincero deve trasparire in modo quasi invisibile, deve avere una sua storicità e completamente svincolato dal prodotto. Esempi concreti sono i brand che supportano progetti di sviluppo, campagne sociali e solidali ma del quale non si conoscono i nomi perché poco conosciuti.
Nella lista di Top sustainable brands 2019, e stilata da Stylight, non c’è un solo marchio Made in Italy. Troviamo l’americano Madewell, noto per le sue creazioni in denim, il californiano Reformation, uno dei brand più trendy degli ultimi anni, il super popolare brand di sneakers francese Veja, lo svedese Odd Molly e l’inglese Ninety Percent
Molti spunti sul quale riflettere dunque, voi cosa ne pensate? Come sarà per voi il futuro della moda post Covid?
A presto,
Zaira