©Zaira Sessa
La prima porta che chiusi fu quella di casa mia, ed io avevo solo 5 anni, due magliette in un sacchetto di plastica ed una brioche rubata sotto casa, dalla panettiera che citofonò a mia madre “Guardi che sua figlia sta già al fondo della strada”
Le porte mi hanno sempre dato fastidio, quanto le maniglie, tonde, lucide e fredde.
Open space bianco e soleggiato.
Ve lo immaginate un adolescente, convivere con una famiglia numerosa, in una casa senza porte?
Un incubo! E la tua stanza segreta diventa il tavolo della cucina o l’armadio.
Ed alla fine pensi che le porte siano necessarie. Fastidiose, ingombranti, ma necessarie.
E se per caso rimango chiusa dentro a una stanza e le chiavi non le trovo?
Io la porta la sfondo, con tutta la forza che ho, me ne frego di romperla o farmi male le porte si riparano e le ferite si curano.
Le porte sono infinite, si è così.
Ogni giorno mi sveglio e ne trovo una davanti a me, alle volte è solo accostata ed è tutto facile, ma quando è chiusa a doppia mandata e la chiave non gira…ti chiedi se ne vale la pena lottare con questa porta ed alla fine una risposta te la dai, perché il tuo scopo è quello, iniziare un nuovo giorno, in un modo o nell’altro, di arrivare fino alla fine.
Le #porte degli #aedidigitali